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aborigeno
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GLI ABORIGENI

Un appassionato di viaggi come me non può non essere attratto dalla cultura Aborigena. Una cultura millenaria, la più antica vivente al mondo, che per lungo tempo e' stata esempio di antichissimi gruppi nomadi cacciatori-raccoglitori, come potevano esserci all’eta’ della pietra. La conformazione del territorio e l’isolamento dell’Australia da altre civilta’ mantennero in uno stato pressoché perfetto una cultura del nomadismo e della sobrietà che si era integrata perfettamente con l’asprezza del territorio. Si formò presso le varie tribu’, una ricchezza complessa di riti e miti che unisce come in una grande rete 200 gruppi tribali diversi.

I due capisaldi di questa comune cultura sono il rispetto per la Terra e la fede nel sogno. Non si sa molto delle origini di questo popolo. Si pensa che siano arrivati in Australia dall’Indocina piu’ di 50.000 anni fa. Diversi siti testati col radiocarbonio danno questi tempi. Anzi le date trovate con la turbo luminescenza darebbero addirittura 120.000 anni fa ma questo sembra troppo a molti studiosi. Gli utensili degli aborigeni erano di pietra e riguardavano piccoli oggetti, raschiatoi, punteruoli. Non costruivano case, non avevano scrittura, pero’ sapevano disegnare. Lo facevano sulla sabbia, sulla roccia, sulla corteccia degli alberi.

La filosofia degli aborigeni era legata alla terra. Era la terra che dava vita all’uomo: gli dava il nutrimento, il linguaggio e l’intelligenza, e quando lui moriva se lo riprendeva. La “patria” di un uomo, fosse anche una desolata distesa di spine, era un’icona sacra che non doveva essere sfregiata. Ferire la terra e’ come ferire se stesso, e se altri feriscono la terra, feriscono te. Il paese deve rimanere intatto, com’era al Tempo del Sogno, quando gli Antenati col loro canto crearono il mondo. Secondo gli Aborigeni, tutto avrebbe origine dal “Dreamtime”, ovvero dal Tempo del Sogno, quell’era mitica della creazione da cui tutto si sarebbe creato, il principio fondamentale di tutto, in cui gli Antenati Totemici uscirono dal terreno e percorsero tutto il territorio plasmandolo e nominando le cose affinché fosse il paese dei loro successori. Diversi paesi, infatti, sono uniti lungo lo stesso percorso formato da un Progenitore Ancestrale. Bruce Chatwin nel suo libro “Le vie dei canti” paragona il Tempo del Sogno ai primi due capitoli della Genesi, ma con una fondamentale differenza: nella Genesi, Dio prima creò le cose viventi e poi creò Adamo dall’argilla; nel Tempo del Sogno, invece, gli Antenati Totemici, ovvero coloro che in quell’era mitica hanno dato vita a tutte le cose, si sono creati loro stessi dall’argilla, creando a loro volta tutte le cose. Gli Aborigeni credono che ogni Progenitore Ancestrale abbia sparso lungo il suo cammino delle scie di parole e di note musicali durante il suo viaggio originale per tutto il continente e che queste “Piste del Sogno” o “Vie dei Canti” (songlines) siano diventate le strade di comunicazione tra le più lontane tribù australiane. Il viaggio che i Progenitori Ancestrali fecero per creare e per cantare l’intero paese prende il nome di “Walkabout”. Gli Aborigeni ripetono questo viaggio almeno una volta nella vita, prendendo le sembianze di un viaggio sacro e rituale perché si calcano e si ripercorrono le orme dei loro antenati. Per questo nella complessa cultura aborigena per ogni individuo integralista e che osservi il rigido codice tribale arriva prima o poi il momento di partire, di abbandonare la tribù e la famiglia per iniziare un lungo viaggio attraverso gli immensi spazi australiani. Che lo faccia a piedi, in treno o in automobile, non ha importanza, l'importante è partire. Nessuno farà domande e tantomeno saprà se e quando egli farà ritorno. Questo è un viaggio rituale, che ricalca le peregrinazioni degli antenati totemici, gli esseri soprannaturali affiorati dalla terra o dal mare sotto spoglie umane o animali, che hanno creato ogni forma di vita con il canto, la danza, attraverso le gesta, la parola, il cammino. Ecco allora che il viaggio rituale svolge l’importante funzione di assicurare la continuità della tribù, di ristabilire il vecchio ordine naturale, come era in origine quando è stato affidato agli uomini, quindi di comunicare con il Tempo del Sogno. Nell’intraprendere e ripercorrere le piste del sogno o le vie dei canti che non è altro che un labirinto di sentieri immaginari visibili soltanto agli aborigeni , avviene la ritualizzazione di antichi eventi mitologici e la rivelazione della segreta armonia della Creazione. Il principio generatore viene celebrato attraverso formule iniziatiche e rappresentazioni totemiche visibili: rocce, stagni, sorgenti, ecc che simboleggiano la comunione con gli esseri primordiali. Per questo molti laghi, fiumi, alberi, sassi o montagne per gli aborigeni sono sacri come Ayers Rock questo gigantesco monolitico simbolo dell’Australia aborigena è un luogo sacro.
Per questo ricalcando le tjurna djugurba (le orme degli esseri mitici) cioè le antiche Vie dei Canti, viene compiuto uno degli atti più belli e simbolici della spiritualità degli aborigeni australiani, un rito che rappresenta la chiave di volta della loro complessa struttura sociale e religiosa, la celebrazione dell’intimo e imprescindibile legame che li unisce alla natura.
In una raccolta di miti australiani «Il Tempo del Sogno -miti australiani-» si trova scritto che una terra non cantata è una terra morta, perché il sogno e il canto sono la base dell’essere e questo canto deve essere tramandato sempre. Quindi la tradizione orale, come ha scritto una famosa antropologa australiana, è il mezzo che in un certo senso tiene insieme il popolo aborigeno: Essa è l’espressione della loro eticità ed uno strumento per conservare e trasmettere quelle che secondo loro sono le grandi verità, che influiscono in modo diretto sulla loro vita sociale.

I bianchi arrivarono alla fine del 1700, quando’ gli inglesi sbarcarono qui i loro galeotti e iniziò così ’ la loro decimazione. Arrivarono malattie nuove, lievi per i bianchi ma letali per gli indigeni: varicella, morbillo, influenza, arrivò l’alcool che gli aborigeni non riuscivano a metabolizzare, arrivarono le carneficine. L’onda dei massacri distrusse il 90% degli aborigeni. Molte uccisioni avvennero con l’avvelenamento dei pozzi. L’ultimo massacro fu nel 1928. Si salvarono gli aborigeni del deserto, dove i bianchi non riuscivano a sopravvivere. I nuovi dominatori introdussero specie animali nuove, come i conigli che si ropagarono in modo letale, o i grandi allevamenti di pecore e mucche che allontanavano gli aborigeni dai loro territori, spingendoli in zone sempre piu’ aride dove trovavano sempre meno sostentamento. La tribù dei “Pintupi” sono stati l’ultima tribu’ selvaggia a essere sloggiata dal deserto occidentale e inserita nella civilta’ dei bianchi.
Fino alla fine degli anni ’50 avevano continuato a cacciare e a cercare cibo, nudi sulle dune, come facevano da almeno diecimila anni. Erano uomini sereni e di larghe vedute, che non praticavano i cruenti riti iniziatici delle tribu’ piu’ sedentarie. Gli uomini andavano a caccia di canguri e di emu’. Le donne raccoglievano semi, radici e larve. D’inverno si riparavano dietro frangivento di spinifex e restavano raramente senz’acqua, persino quando il caldo era cocente.
I pochi bianchi che viaggiavano nei loro territori si meravigliavano sempre di trovare i loro bambini grassi e sani.”
Inizialmente l’Australia venne considerata una colonia del Regno Unito, nel 1901 divenne indipendente. Gli aborigeni furono trattati come schiavi anche se avevano forti difficoltà ad abituarsi alle richieste dei bianchi, difficile per loro dormire al chiuso, vestirsi, adeguarsi ai lavori richiesti. Tuttavia la popolazione fu sfiancata senza pieta’. Violentati, schiavizzati, malnutriti, privati di ogni diritto, essi continuarono a decadere.
Fu l’estinzione lenta di un popolo, di una identità, di una cultura e tutto questo fu fatta ancora una volta nel nome della croce. Il governo fu del parere che gli Uomini dell’Eta’ della Pietra (come venivano definiti ) dovevano essere salvati, in nome di Cristo, se era necessario. Inoltre il deserto occidentale serviva per le loro attività minerarie e per fare esperimenti nucleari.
Fu dato ordine di caricarli su camion dell’esercito e sistemarli in terre governative. Molti morirono di epidemie, litigarono con altre tribu’, si attaccarono alla bottiglie, si accoltellarono a vicenda. Dapprima furono schiavizzati, poi ebbero paghe da fame; nel 1965 fu fatta una legge che parificava il salario di un aborigeno a quello di un bianco, ma le cose continuarono a peggiorare.
L’operazione che mirava a distruggerli anche come razza cominciò dalla prima meta’ del 1900: si separavano i bambini dalle loro famiglie, scegliendo quelli con la pelle piu’ chiara, che derivavano da accoppiamenti di bianchi con le donne aborigene; i disgraziati genitori arrivavano addirittura a scurire la pelle dei loro bambini nel tentativo di evitarne la deportazione. Questa fu chiamata “la generazione rubata”.
Il regista Philip Noyce narra di come, all’inizio del 1900, ci fossero due enormi problemi in Australia: l’abnorme proliferare dei conigli e i bambini meticci. Per il primo problema si costruì una recinzione di migliaia di km che attraversava tutta l’Australia da Nord a Sud per impedire ai conigli di espandersi nelle terre coltivate. Per il problema dei bambini nati da accoppiamenti tra bianchi e aborigeni, si decise di deportare i piccoli “mezzosangue” in colonie, campi di rieducazione dove venivano “cristianamente preparati alla loro nuova vita nella Società dei bianchi”, cosi’ che le bambine, diventate donne si accoppiassero solo con bianchi e a poco a poco si depurasse il sangue dei nuovi nati dalle tracce aborigene. Cosi’ gli aborigeni si sarebbero estinti come razza e sarebbero stati cancellati dalla faccia della Terra. Solo pensare che degli uomini di governo e di chiesa abbiano perseguito un fine cosi’ aberrante mette il potere cristiano bianco dell’Australia alla pari di quello ariano nazista che in Germania decise di cancellare gli Ebrei.
“La generazione rubata” di Phillip Noyce tratta della storia vera di tre bambine, che, allontanate dalle loro famiglie e deportate nel campo di Moore River, riescono a fuggire e a tornare dalle proprie famiglie in un viaggio spaventoso di 1500 km attraverso il bush, le zone aride dell’interno, seguendo la sterminata recinzione dei conigli.
Un film di denuncia ed un grave atto di accusa nei confronti della presunta civilta’ dei bianchi.
Molly Craig e’ la bambina piu’ grande che salva con la sua tenacia le altre due, la sorte ha voluto che anche a lei venissero sottratte le due figlie. La pratica continuò fino al 1970.
Molly e’ vissuta fino a tarda eta’ e, intervistata, ha detto queste semplici, lapidarie parole, ”Conoscevo mia madre volevo tornare a casa da lei.”
Fino al 1967 gli aborigeni, a cui i bianchi avevano strappato la loro terra senza dare in cambio niente, non hanno avuto diritto di voto. Attualmente il governo ha avviato un programma detto “Reconciliation” che per ora ha dato scarsi frutti. Solo nel 1994 l’Alta Corte australiana ha riconosciuto che all’arrivo dei bianchi il paese non era “terra di nessuno” ma c’erano dei nativi che l’occupavano da prima.
Nel 1999 un referendum per cambiare la Costituzione e riconoscere una precedente occupazione da parte dei nativi e’ fallito.
Nel tempo e con grandi difficoltà molti studiosi hanno cercato di conoscere qualcosa di piu’ della cultura di questo antico popolo. Purtroppo lo sradicamento e l’estraneazione sono stati cosi’ violenti che attualmente molti di loro non sanno piu’ nulla dei loro miti, dei loro riti, delle antiche tradizioni. Il crimine maggiore, che invasori cristiani hanno commesso sui popoli da essi assoggettati, non sta comunque nei massacri ma nel tentativo perverso di estirpare totalmente le civilta’ che essi violentavano.
I massacri riguardano i corpi ma l’annientamento di antiche civiltà è un crimine contro l'umanità'. “Se non conosci le tue origini non sai più chi sei”.
V. Tarantino

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